venerdì 10 dicembre 2010

Arricchirsi con i buoni sentimenti... degli altri

di William La Ferla
Fonte prodigio.it


Svelato da un libro il volto nascosto, e poco opportuno, della beneficenza fatta da volti noti e meno noti


È Natale: ci sentiamo tutti più buoni, siamo pervasi da una specie di “volemose ben universale” che, oltre a farci pensare a regali ed abbuffate sotto l’albero, ci spinge ad essere più sensibili verso gli altri, a prodigare la nostra solidarietà per qualcuna delle tante cause benefiche proposteci dalle più svariate associazioni, magari con tanto di spot pubblicitari e testimonial di gran fama.


Attenti però!! Non è tutto altruismo quel che luccica: imbroglioni, truffatori, approfittatori, simulatori ecc... sanno del periodo favorevole e si preparano ad approfittarne.
La copertina del libro "Attenti ai buoni" 
Non solo a Natale ben s’intende! Dovunque ed in mille e mille occasioni si raccolgono fondi per le più svariate cause: partite del cuore (leggi articolo sul numero precedente), concerti di solidarietà, dischi della bontà, trasmissioni televisive, marce, lotterie, feste vip a base di caviale e champagne con flash per i rotocalchi, vestiti usati, alimenti...


Basta che la “causa” suoni bene tipo “fondi per curare l’AIDS in Africa, per scavare pozzi in Bolivia, per equipaggiare di una nuova macchina ipertecnologica un ospedale ecc.. “ e nessuno si tira indietro: i soldi arrivano sempre, anche tanti!


Ma, finita la festa, dove finiscono? A chi vanno davvero? Per ogni dieci Euro donati, quanti realmente arrivano ai destinatari in nome dei quali erano stati raccolti?


Ci ha pensato Mario Giordano a metterci in guardia al riguardo con un libro di successo: Attenti ai buoni, un viaggio rivelazione in uno dei maggiori business del nostro tempo, la solidarietà e la carità. Cifre e nomi alla mano, ci accompagna dietro le quinte di quel che si può ben definire il business “carità & solidarietà”. Ci svela trucchi, truffe e bugie furbescamente dissimulate dietro la parola solidarietà, dai grandi eventi alla piccola elemosina di strada, dalle istituzioni più illustri alle tante sconosciute associazioni che nascono dal nulla e nel nulla (coi soldi) svaniscono.
Stupisce la presenza di tanti nomi celebri: Pavarotti, ad esempio, alleggerisce l’incasso di un concerto di beneficenza di 7 mila Euro per l’acquisto di un orologio e di altri sette per un vestito Armani; Sofia Loren, premiata dal capo dello Stato per il suo grande impegno a favore della lotta contro il cancro, viene invitata da Mara Venier a testimoniarlo anche nella sua trasmissione. L’attrice accetta entusiasta... le bastano trecento milioni di gettone di presenza. È citato anche Alessandro Del Piero della cui abilità di palleggio con i soldi abbiamo parlato nel numero precedente. Non solo grandi nomi però! Ci sono anche i piccoli truffatori di periferia: un rappresentante di Diano Marina, auto dichiaratosi volontario, distribuiva cassette delle elemosine da collocare sui banconi dei negozi. Diceva a tutti che erano di un istituto benefico ma in realtà l’unico a farsi su le maniche era lui!!
“Attenti ai buoni” dunque e sempre?? No, certamente no! Giordano ce lo ricorda in modo chiaro: Tutte le volte che in questi anni e soprattutto in questi mesi ho sentito parlare di partite del cuore, concerti di solidarietà, megaeventi per l’Africa, Pavarotti & Friends, l’asta per le mutande di Madonna, cocktail, lustrini, paillettes di lusso esibito “a fin di bene però..”, Onu, Unicef e Fao, la beneficenza come marketing, il prossimo usato come categoria del business, affari e buoni sentimenti, lacrime e i soldi, spot a buon mercato sulla pelle dei poveri, mi sono venuti in mente quelli (e sono la maggioranza) che il bene lo fanno davvero. Nessuno deve più permettersi di infangare in questo modo la loro quotidiana e silenziosa generosità. Continuate ad aiutarli.

lunedì 25 ottobre 2010

La nuova beneficenza dei capitalisti

di Slavoj Žižek
Fonte: Internazionale
Traduzione di Giuseppina Cavallo.



Perché la beneficenza è diventata un elemento strutturale della nostra economia e non è più solo la caratteristica di qualche brava persona? Nel capitalismo di oggi la tendenza è di mescolare profitto e beneficenza. Così quando comprate qualcosa, nella spesa è già incluso il vostro impegno per il bene degli altri, dell’ambiente e così via.


Se pensate che stia esagerando, entrate in un qualunque caffè della catena Starbucks e vedrete. Cito la loro campagna: “Non è solo cosa comprate, ma cosa scegliete”. Lo spiegano così: “Quando comprate Starbucks (…) state scegliendo qualcosa di più di una tazza di caffè. State promuovendo un’etica del caffè. Grazie al programma Starbucks ‘Shared Planet’, compriamo più caffè del commercio equo e solidale di qualunque altra azienda al mondo, garantendo agli agricoltori un prezzo equo per il loro duro lavoro. E investiamo nei metodi dei coltivatori di caffè migliorando la vita delle loro comunità in tutto il mondo. È un buon karma per il caffè”. È quello che chiamo “capitalismo culturale” allo stato puro. Non state solo comprando un caffè, state comprando la vostra redenzione dall’essere semplici consumisti. State facendo qualcosa per l’ambiente, qualcosa per salvare i bambini che hanno fame in Guatemala e qualcosa per ricostruire il senso di comunità.


Scelte difficili
Potrei fare molti esempi, ma la sostanza non cambia: mentre fate delle scelte consumiste, allo stesso tempo spendete i vostri soldi per fare del “bene”. Tutto questo genera una sorta di… come potrei definirlo? Un sovrainvestimento o sovraccarico semantico. Sapete che non è in gioco solo l’acquisto di una tazza di caffè: è in gioco il rispetto di tutta una serie di responsabilità etiche. Questa logica oggi è quasi universalizzata.


Perciò si crea un corto circuito molto interessante: un gesto di consumo egoista comprende il prezzo del suo contrario. Davanti a questo fenomeno, credo che dovremmo tornare al buon vecchio Oscar Wilde, che ci ha fornito l’argomentazione migliore contro la logica della beneficenza. In L’anima dell’uomo sotto il socialismo, lo scrittore sottolinea che “è molto più facile solidarizzare con la sofferenza che con il pensiero”: “Le persone scoprono di essere circondate da una spaventosa povertà, da una spaventosa bruttezza, da una spaventosa fame. È inevitabile che tutto ciò le commuova. Di conseguenza, con intenzioni ammirevoli ma male indirizzate, con la massima serietà e molto sentimentalismo, si impegnano nel compito di rimediare ai mali che vedono. Ma i loro rimedi non curano la malattia, non fanno che prolungarla.


Di fatto, i loro rimedi sono parte della malattia. Cercano di risolvere il problema della povertà, per esempio, tenendo in vita i poveri o, nel caso di una scuola molto avanzata, divertendoli. Ma questa non è una soluzione, è un aggravamento del problema. L’obiettivo giusto è cercare di ricostruire la società su basi che rendano impossibile la povertà. E le virtù altruistiche hanno di fatto impedito il raggiungimento di questo obiettivo. […] I peggiori schiavisti erano quelli che si comportavano gentilmente con i loro schiavi, e così impedivano che l’orrore del sistema fosse compreso da coloro che soffrivano per sua colpa e da coloro che lo osservavano. […] La beneficenza degrada e demoralizza. È immorale usare la proprietà privata per alleviare i mali orribili causati dall’istituzione della proprietà privata”.


Rischio ipocrisia
Penso che queste parole siano più attuali che mai. Per quanto possa apparire positivo, il salario garantito – questa specie di patto con i ricchi – non è una soluzione. A mio giudizio esiste un altro problema. Ho l’impressione che questo sia l’ultimo, disperato tentativo di mettere il capitalismo al servizio del socialismo: non cancelliamo il male, lasciamo che sia il male stesso a lavorare per il bene. Trenta o quarant’anni fa, sognavamo il socialismo dal volto umano. Oggi, invece, l’orizzonte più lontano, più radicale, della nostra immaginazione è il capitalismo globale dal volto umano. Le regole del gioco restano le stesse, però lo rendiamo un po’ più umano, più tollerante, con un po’ di welfare in più.


Diamo al diavolo quel che è del diavolo e diciamolo chiaramente: almeno negli ultimi decenni, e almeno in Europa occidentale, in nessun altro momento della storia umana una percentuale così alta di popolazione ha goduto di tanta relativa libertà, ricchezza, sicurezza eccetera. Ora queste conquiste sono gradualmente rimesse in discussione. Voglio solo dire che l’unico modo per salvare gli acclamati valori del liberalismo è fare qualcosa di più. Non sono contrario alla beneficenza in astratto. È meglio di niente. Però dobbiamo essere consapevoli che contiene un elemento di ipocrisia. È ovvio che dobbiamo aiutare i bambini. È terribile vedere che la vita di un bambino può essere distrutta perché i genitori non possono pagare un’operazione che costa 20 dollari. Ma come avrebbe detto Oscar Wilde, a lungo andare, se ci limitiamo a curare i bambini loro vivranno un po’ meglio però si ritroveranno sempre nella stessa situazione.

giovedì 21 ottobre 2010

Attenzione alle truffe ONG

di Ramnath
Fonte: tankesmedjaonline

India è un paese culturalmente diversificata, con una serie di differenze che a sua volta cedere il passo ad un numero altrettanto variegata dei problemi e dei mali sociali. Anche se il governo è diventato più attivo giorno per giorno l'introduzione di programmi per la lotta contro questi mali sociali ancora alla portata di governo nella maggior parte dei casi non riescono a essere un tutto uno pervade. Anzi, talvolta diventa difficile per il governo a raggiungere il livello di base, dove i problemi come il lavoro minorile, maltrattamenti di anziani e oppressioni sulle donne sono più dilagante. Così, è venuto in alcune ONG con un gusto per servire la società e contribuire ad una nobile causa. Questo è senza dubbio il sentimento alla base della formazione delle ONG indiane che lavorano negli interni del paese.


Tuttavia, la parte più triste di tutta la faccenda è il fatto che ogni cosa che esiste ha alcuni vantaggi e svantaggi di loro. E lo stesso avviene con le ONG in India. Con il passare del tempo, insieme con le ONG vero, non ci arrivò così come alcuni fraudolenta, nonché, il cui unico interesse è quello di fare soldi in mimetica del nobile lavoro in qualunque modo possibile. Sappiamo tutti che ogni organizzazione ha bisogno di soldi per il suo efficace funzionamento. E così queste carte d'argento ha dato alla luce un sacco di attività fraudolente tra le ONG. Senza dubbio ci sono molte persone che vorrebbero contribuire in qualche modo per qualche nobile causa, ma la domanda che si pone è il modo in cui stabilire una ONG che è autentico. Con così tante organizzazioni non governative fraudolenta stati esposti fino a data uno deve essere a conoscenza della genuinità della organizzazione prima di immergersi in essa di aderire. Ci sono le ONG non possono in Meerut che stanno facendo un buon lavoro reale per la causa delle donne e dei bambini indigenti. Eppure si dovrebbe intraprendere un certo livello di base delle indagini prima di mettere nel loro cuore e l'anima sulle attività di una ONG. Non è solo che abbiamo bisogno solo di essere a conoscenza delle ONG fraudolenta e restare lontano da loro, ma anche che abbiamo bisogno di esporli in modo che altre persone come noi prendere coscienza di loro. Tali attività fraudolenta può essere trattenuto da più e più autentica partecipazione attiva di persone provenienti da tutti i ceti sociali. Ciò significa non solo la causa, ma dobbiamo anche aiutare nella lotta contro la frode Trust in India da segnalazione contro di loro .

sabato 9 ottobre 2010

Pakistan: falsa ONG sfrutta le sofferenze dei cristiani

Fonte Radio Vaticana


False Ong raccolgono fondi, sfruttando le sofferenze dei profughi cristiani e diffondendo false informazioni: è quanto l’Agenzia Fides apprende da fonti cattoliche nella società civile pakistana, che segnalano con preoccupazione un caso di “autentico sciacallaggio sulle sofferenza dei cristiani”. L’Organizzazione non governativa “Protect Foundation Pakistan”, con sede a Lahore, da oltre un mese diffondeva appelli e materiale fotografico millantando assistenza ai profughi cristiani vittime delle alluvioni. “I cristiani sono malmenati, sono lasciati morire senza aiuti. Siamo i soli ad assisterli. Aiutateci a fornire loro assistenza medica e solidarietà”, recitavano i loro appelli. Tutti basati su false informazioni, che intendevano solo approfittare del momento per accaparrarsi fondi. In poco più di un mese, Nadeem Inayat, presidente, e Basharat Masih, vice presidente della Ong, hanno visto arrivare sul loro conto corrente bancario oltre 25mila dollari da donatori esteri in Europa e America, ingannati dalla propaganda. Ma l’opera dei due faccendieri non è sfuggita ad alcune Ong locali, realmente operanti sul campo, che hanno segnalato il caso alle autorità. La polizia ha avviato una indagine, il traffico è stato scoperto e bloccato, i due sono stati arrestati e “Protect Foundation Pakistan” è stata dichiarata illegale e bandita dal paese.“La solidarietà continua a essere fondamentale per la nazione. Ma occorre sempre affidarsi a Ong e istituzioni di acclarata credibilità, trasparenza ed esperienza. Vi sono alcuni opportunisti che si insinuano nel nostro mondo”, commenta a Fides Peter Jacob, segretario esecutivo della Commissione “Giustizia e Pace” della Conferenza Episcopale. “La nostra Commissione sta aiutando 1.800 famiglie in diverse province, offrendo medicine e aiuti umanitari. Fra le istituzioni più note e credibili vi sono la Caritas, legata al Chiesa cattolica del Pakistan, e l’Ong Church World Service, riferimento per il mondo cristiano protestante”, consiglia Jacob.Un allarme viene anche da false notizie circolanti a proposito delle persecuzioni sui cristiani in Pakistan. Esistono infatti agenzie di informazione, con sede negli Stati Uniti, parte della galassia protestante-evangelica, alla continua ricerca di casi di violenza anticristiana. Tali agenzie incoraggiano e assoldano in Pakistan “reporter freelance”, determinati a cercare queste storie, a volte gonfiandole o inventandole di sana pianta. “Così accade che le notizie sulle persecuzioni vengono distorte. Questo nuoce prima di tutto agli stessi cristiani in Pakistan”, nota Jacob. E’ recente il caso di una famiglia cristiana di Haripur (a nord di Islamabad) che, secondo rapporti circolanti, sarebbe stata sterminata da estremisti islamici perché il capofamiglia, Edwin Paul, era una avvocato che difendeva i cristiani accusati di blasfemia. Fonti locali di Fides raccontano, invece, che l’intera famiglia è rimasta vittima di un tragico incidente d’auto. Anche rapporti su recenti attacchi anticristiani nella città di Gujrat (a nord di Lahore), notano fonti di Fides, si sono rivelati inattendibili, ricopiati da episodi avvenuti oltre un anno fa.

giovedì 7 ottobre 2010

Rockefeller di Genova. Storia di Gaslini

di Lia Fubini
Fonte: www.sbilanciamoci.info


Imprenditore spregiudicato, filantropo generoso. In una biografia di Gerolamo Gaslini, una illuminante storia italiana. Con giallo finale
La storia di Gerolamo Gaslini, della sua attività di imprenditore accorto e spregiudicato, filantropo ed evasore fiscale, solleva questioni quanto mai attuali sul rapporto fra mondo degli affari, etica, e politica. La sua biografia, "Rockefeller d'Italia. Gerolamo Gaslini imprenditore e filantropo", di Paride Rugafiori (edita da Donzelli), narra della vita dell’industriale genovese, delle vicende delle sue imprese e dell’ospedale da lui fondato, dei suoi legami con il mondo politico ed ecclesiastico, attraverso una ricostruzione storica attenta e rigorosa, che pure appare scorrevole e appassionante come un romanzo.
C’è un giallo nella vicenda di questa biografia. Il libro si apre con un’avvertenza in cui si spiega che la stesura del libro è stata ultimata nell’estate 2006, dopo un’impegnativa ricerca affidata all’autore dalla Fondazione Gerolamo Gaslini di Genova. La Fondazione decide di non promuoverne la pubblicazione, pur non muovendo alcun rilievo al lavoro dello storico e senza giustificare tale decisione. Il libro esce così tre anni dopo per autonoma iniziativa dell’autore e dell’editore. Va notato che al momento della consegna del lavoro i vertici della Curia e della Fondazione, che alla Curia appartiene, è mutato. Cardinale di Genova è Bagnasco, che succede a Bertone e a Tettamanzi. Non sappiamo altro; è noto tuttavia che la posizione di Bagnasco e Bertone sono assai più conservatrici di quella del predecessore. Certo è che il libro di Rugafiori rimane in un cassetto e l’intenzione dei vertici della Fondazione è evidentemente quella di nascondere al pubblico questa vicenda davvero interessante e accuratamente documentata. Perché il committente non ha voluto pubblicarlo? In assenza di chiarimenti possiamo solo fare delle ipotesi. Forse perché la figura di Gaslini non ne esce del tutto limpida? Dalla biografia in questione apprendiamo che Gerolamo Gaslini, abile imprenditore e filantropo, fondatore e finanziatore del più importante ospedale pediatrico d’Italia, è un grande evasore che tiene accuratamente la contabilità nera, è uno speculatore sui cambi e sui prezzi delle materie prime, un industriale che si guadagna la benevolenza e i favori dei politici e della chiesa attraverso “donazioni” e tangenti, un personaggio che abilmente si lega in politica al carro del vincitore. Luci ed ombre dunque, che non permettono di far emergere il ritratto di un personaggio “senza peccato” che forse avrebbero preferito i nuovi vertici della Curia e della Fondazione e che apre interrogativi anche sui comportamenti della Chiesa. Chissà, forse esisteva il timore che si aprisse il dibattito su un passato non del tutto limpido e che il discorso scivolasse sulle analogie col presente. Ma queste sono illazioni; l’autore non ce ne parla.

Sarebbe stato un vero peccato se questa biografia non fosse stata resa pubblica.

La figura di Gaslini imprenditore era stata finora ignorata dalla storiografia e la sue vicende per lo più erano sconosciute al pubblico, quasi fosse stato come un imprenditore di scarso rilievo. Scopriamo invece che si trattava del fondatore di un gruppo conglomerale decisamente importante nel panorama economico italiano dagli anni trenta ai sessanta del secolo scorso. La sua impresa, avviata col fratello nel 1907 con un modesto capitale iniziale e “avente per oggetto l’esercizio del commercio e della rappresentanza di olii” cresce rapidamente, passa all’attività produttiva e inizia un processo di diversificazione. Negli anni trenta Gerolamo Gaslini guida un vasto gruppo che include imprese alimentari, chimiche, agricole, immobiliari, e perfino una banca di medie dimensioni, si destreggia abilmente nel commercio estero e nella speculazione sulle materie prime anche in un momento in cui il protezionismo è di ostacolo agli scambi internazionali. Per sviluppare la sua attività tesse una rete di relazioni politiche, si guadagna i favori di Mussolini e finanzia le iniziative sociali del fascismo, tant’è che diventa senatore del Regno. Ma quando vede delinearsi la caduta del regime cambia rapidamente bandiera. Dopo la guerra si lega a De Gasperi e al Cardinale Siri.

Gaslini riesce con abilità a creare un mercato quasi monopolistico degli oli vegetali attraverso processi di integrazione, accordi e fusioni. Il suo gruppo entra in crisi alla metà degli anni cinquanta per l’intrecciarsi di varie cause legate in larga misura al mutamento del quadro economico del dopoguerra, quali l’incapacità di adeguarsi all’apertura dei mercati internazionali e di utilizzare le nuove strategie di marketing e pubblicità che si affacciano nell’Italia del dopoguerra. Probabilmente ha giocato un ruolo importante l’età avanzata di Gaslini che, dopo aver mantenuto per decenni sotto il suo controllo le molteplici attività del gruppo, non ha saputo circondarsi di un management competente e assicurarsi una successione.

Personaggio meticoloso, Gaslini tiene accuratamente la contabilità reale in parallelo a quella ufficiale. Grazie alla documentazione raccolta da Rugafiori e presentata nell’appendice del libro ci troviamo di fronte uno dei casi rarissimi in cui è possibile confrontare per un lungo periodo la differenza fra gli utili ufficiali e utili effettivi ed evidenziare così le pratiche di manipolazione dei bilanci. Scopriamo così che dal 1929 al 1942 gli utili dichiarati sono circa il 7% di quelli effettivi, che negli anni trenta l’indice di redditività del patrimonio reale si attesta su valori fra 9 e 10 volte quelli ufficiali. Si tratta quindi di una frode colossale ai danni del fisco.

Gaslini spende una cifra ben inferiore agli enormi utili non dichiarati per l’ospedale infantile di Genova da lui fondato e intitolato alla figlia Giannina morta undicenne. Questo dato sembra ridimensionare la figura di Gaslini filantropo. Ma nel 1949, costituisce la Fondazione Gaslini, un ente di diritto pubblico a cui cede l’intero suo patrimonio. Si tratta di una fondazione holding gestita in modo innovativo, che sostiene l’attività non profit dell’Istituto Giannina Gaslini a tutela della salute infantile, che usa i profitti delle imprese Gaslini per svolgere le sue attività. Anche la gestione dell’ospedale pediatrico sembra essere per Gaslini una nuova sfida imprenditoriale. Ma il suo gesto non chiede contropartite neppure indirette, come spesso appaiono le azioni imprenditoriali paternalistiche che comportano forme di controllo aziendale e sociale volte a evitare situazioni di conflitto. È invece un comportamento puramente altruistico orientato a offrire senza discriminazioni il diritto a un’assistenza sanitaria che non era prevista a quel tempo in Italia.

Si evidenzia così un’apparente contraddizione fra la figura dell’industriale e quella del filantropo.

La figura di Gaslini industriale appare rappresentativa di una classe imprenditoriale italiana del secolo scorso che si è fatta da sé in modo spregiudicato con mezzi leciti e illeciti, che non esita a pagare tangenti e a frodare il fisco, che cresce all’ombra di importanti protezioni politiche.

Viceversa la figura di Gaslini filantropo è del tutto anomala, non cerca riconoscimenti e non ha ricadute positive sulla sua attività di imprenditore, il suo altruismo è autentico. La sua decisione di cedere ancora in vita tutto il suo patrimonio è ancora più radicale di quella di Rockefeller che alla sua fondazione benefica destinò solo parte dei suoi averi.
Paride Rugafiori, "Rockefeller d'Italia. Gerolamo Gaslini imprenditore e filantropo", Donzelli, 2009

lunedì 9 agosto 2010

Il governo di Karzai accusa: gli aiuti sono sprecati

Di Francesco Grignetti
Fonte La Stampa



Si fa presto a dire Ong, ossia Organizzazioni Non Governative. Da dieci anni a questa parte in Afghanistan è cresciuta a dismisura la presenza delle associazioni umanitarie internazionali e praticamente nessuno riesce a sapere nemmeno quante siano, tantomeno che cosa facciano. Forse è giusto che sia così: come dice il loro stesso nome, le associazioni umanitarie non dipendono dai governi, nascono dal basso, qualche volta sono dei giganti, spesso sono piccole realtà di persone animate di buona volontà che prendono e partono alla volta delle aree sfortunate del mondo. 


«Ma in Afghanistan è un problema di prima grandezza», spiega un diplomatico bene addentro alla realtà locale. «Da anni si vorrebbe un coordinamento, per evitare almeno duplicazioni e spese inutili. Ma persino fare l’elenco delle Ong presenti è stato un lavoro che si è rivelato impossibile».


Un elenco dovrebbe (e si sottolinea il condizionale: dovrebbe) trovarsi presso il ministero dell’Interno afghano. Ed è anche questa una novità degli ultimi anni, perché a un certo punto il governo Karzai si arrabbiò di brutto con gli occidentali, militari e umanitari, agenzie dell’Onu comprese, in quanto i finanziamenti promessi non arrivavano mai e quel poco che veniva realmente stanziato era assorbito dagli occidentali medesimi. Karzai s’imbufalì, insomma, e venne fuori una legge che obbligava le Ong a registrarsi presso il governo locale e a documentare il numero dei propri dipendenti, specificando quanti erano i locali e quanti gli stranieri. La registrazione dovrebbe funzionare anche a fini fiscali. Ma anche così molte Ong sfuggono ai controlli. E praticamente il caos continua. 


Non aveva tutti i torti, Karzai. Un paio di anni fa, l’associazione umanitaria inglese Oxfam dimostrò, carte alla mano, che su 25 miliardi di dollari promessi dalle nazioni occidentali per la ricostruzione dell’Afghanistan, circa la metà erano rimasti sulla carta e il 40% di quanto realmente stanziato era tornato ai donatori sotto forma di consulenze e di stipendi per il personale straniero. 


Ad accrescere la confusione, poi, ci si sono messi i furbi. Siccome le Ong non pagano tasse, sono sorte centinaia di finte associazioni afghane che in pratica sono semplici imprese. Anche in questo campo si promette pulizia, ma da un governo considerato tra i più corrotti al mondo c’è poco da sperare. Esiste però dal 1988 a Kabul un’agenzia per il coordinamento degli aiuti allo sviluppo, in sigla Acbar (Agency Coordinating Body for Afghan Relief), un’associazione di associazioni, che riunisce 110 Ong operanti davvero sul territorio. Ebbene Acbar lamenta che al contrario di quanto si creda, «solo il 9% degli aiuti internazionali transita attraverso le Ong e altre organizzaioni no-profit. Il 71% è speso dalle Nazioni Unite, dai Prt dell’Alleanza atlantica e in appalti da ditte private nel campo dell’agricoltura, della logistica, delle costruzioni e della sicurezza. Quest’ultimo settore da solo assorbe il 45% degli aiuti».

sabato 3 luglio 2010

Pub, agriturismo, palestre ecco i furbetti del non profit

di Davide CarlucciFonte: www.repubblica.it
Così falsi enti e associazioni truffano lo Stato. I centri sportivi fra le realtà più spericolate. Il trucco usato è quello di aprire una attività alla volta per evitare di essere scoperti
Il meglio di sé lo danno nella descrizione dell'oggetto sociale. "L'associazione ha come scopo la organizzazione del tempo libero dei propri associati, attraverso l'offerta di una vasta gamma di giochi audiovisivi, quali videogames e biliardi, calcetti ecc, in un ambiente teso a stimolare la civile convivenza ed al rapporto tra i soci", scrive per esempio il gestore di una sala giochi di Catania. Un bar di Torino, invece, persegue "la formazione psicofisica e morale dell'uomo". Altisonanti anche i nomi che si danno: molti night club e privé italiani fanno capo, per esempio, alla Federazione italiana per la tutela dei diritti e delle libertà, sintetizzato in Federsex. Che tra i cinque buoni motivi che propone per raccogliere le adesioni di chi vuole "aprire un locale alternativo", inserisce anche la "certificazione per la somministrazione di bevande e alcolici". 
Anche queste realtà fanno parte del vasto mondo del non profit italiano. Ma sono davvero tutti enti senza scopo di lucro? E quante - tra le oltre 235mila "unità istituzionali" che secondo l'Istat compongono il "privato sociale" - in realtà sono attività imprenditoriali che vogliono solo evitare di pagare le tasse? E a quanto ammonta il "nero" prodotto dal cosiddetto "Terzo settore"? Da qualche mese Guardia di finanza e Agenzia delle entrate stanno provando a dare una risposta a queste domande, controllando tutte le società senza scopo di lucro. I primi risultati sono sorprendenti: su un campione di 62 società dilettantistiche sportive controllate dalla Guardia di Finanza con il "progetto Ercole" solo 5 sono risultate in regola: il 92 per cento ha commesso qualche illecito. Sette di loro - il 15 per cento - sono da considerare "evasori totali".
I CONTROLLIAnche l'Agenzia delle Entrate sta dando la caccia a questa nuova categoria, molto italiana, di "furbetti del non-profit". A tutte le organizzazioni sono stati inviati 221mila modelli da compilare (Eas): devono spiegare se l'attività commerciale è solo marginale - e funzionale agli scopi associativi dell'ente - o è prevalente. Associazioni sportive dilettantistiche, culturali, di promozione sociali, organizzazioni di volontariato, pro loco, stanno sottoponendo per la prima volta bilanci e contabilità agli agenti del fisco. L'intenzione stanare i fenomeni di evasione sostanziale, "particolarmente riprovevoli poiché si fanno schermo di finalità sociali". Chi rischia dai controlli? Chi non rispetta alcune regole come il divieto di distribuire utili o di devolvere il patrimonio ad altre associazioni in caso di scioglimento. O quelle realtà nelle quali non esistono rendiconti e gli organi amministrativi non sono eleggibili. La direzione piemontese delle Entrate ha fatto un passo in più, firmando un protocollo con la Provincia di Torino per incrociare le banche dati e smascherare le attività commerciali che si nascondono dietro il paravento delle Onlus, dei circolini e delle associazioni di volontariato.
GLI EVASORI I controlli riguardano 200 società e i primi 35 accertamenti (per la maggior parte ristoranti, bar e palestre) hanno portato alla luce un'evasione che oscilla fra i 50mila e i 70mila euro, con punte di 100mila. E casi clamorosi, come quello di un agriturismo con pista per l'atterraggio degli elicotteri che a tutto faceva pensare tranne che al volontariato. Certo, accanto a queste realtà, ci sono i gruppi di cittadini che fanno compagnia ai malati terminali negli ospedali o quelli che vigilano contro gli abusi che devastano l'ambiente: non mettono in tasca niente e forse ci rimettono. Ma facendo una media tra loro, che dichiarano tutte le entrate, e i furbetti, si può ipotizzare che, in media, ogni ente sottragga al fisco tra i 5 e i 10mila euro. Moltiplicandoli per i duecentomila enti non profit italiani si può avere un ordine di grandezza delle dimensioni del "nero" prodotto dal privato sociale? La cifra che si può ipotizzare, forse per difetto, è di 1-2 miliardi di euro, pari al 5-10 per cento delle risorse mosse dall'economia sociale secondo il rapporto Cnel-Istat del 2008 (23 miliardi di euro). 
FITNESS E PALESTRENon c'è da meravigliarsi, dunque, se la Guardia di finanza di Paderno Dugnano ha contestato, un mese fa, 5 milioni di euro di introiti sottratti alla tassazione in cinque anni a un centro fitness di Bovisio Masciago, in provincia di Milano. Il centro, che organizzava corsi di spinning e stage di ballo, faceva risultare i ricavi degli abbonamenti degli iscritti come semplici quote associative. Tra le realtà più sospette ci sono le palestre: una, a Correggio, in provincia di Reggio Emilia, si è data alle false fatturazioni, truffando oltre un milione di euro, mentre a Teramo un imprenditore ha creato una holding tra onlus che apparentemente facevano attività sportiva dilettantistica: i 5000 iscritti, però, non venivano mai avvisati delle assemblee annuali. Contro il fenomeno dell'abusivismo nel settore sportivo è sceso in campo il Coni, che ha avviato un censimento delle oltre 60mila associazioni presenti in Italia, imponendo ferrei controlli ai propri affiliati. Certo, non c'è solo da combattere la malafede o le finte sponsorizzazioni. Molti sportivi non hanno dimestichezza con gli affari burocratici e contabili: annotare tutte le operazioni fatturate ogni mese nei registri, conservare tutta la documentazione sui costi sostenuti, eccetera. Gli studi tributari hanno molto da lavorare, adesso. 
COME FAREMa i commercialisti sono indispensabili anche per chi elude il fisco "investendo" nella forma associativa. Proviamo a contattarne uno per chiedergli come si fa ad aprire un ristorante, una piscina o un altro esercizio commerciale spacciandolo per un non profit. Riusciamo ad aprire in questo modo un centro polifunzionale che preveda al suo interno una piscina, una palestra, una discoteca-sala da ballo e un ristorantino? Primo consiglio: "Un passo alla volta, per non dare troppo nell'occhio". Costituiamo un'associazione enogastronomica e culturale. E nello statuto scriviamo, seguendo i consigli del nostro consulente, che "si prefigge lo scopo di valorizzare la cultura del mangiare e del bere del territorio" e un sacco di altre balle. Possiamo aprire, così, un piccolo ristorante. Evitiamo, però, tutte le grane (e i costi) che incombono sulle società. Quali sono i vantaggi per chi sceglie la strade del non profit? Non avremo l'obbligo d'iscrizione alla camera di commercio, che comporta il pagamento di una tassa di 200 euro all'anno. A differenza di tutte le società di ristorazione, inoltre, non pagheremo l'Irap, l'imposta sull'attività produttiva, che in Veneto ammonta al 3,9% del reddito imponibile. E non pagheremo l'Ires, l'imposta sul reddito delle società, pari al 27,5 per cento. 
Ma occorre fare molta attenzione, ci avverte il contabile: "I controlli sono diventati molto stringenti". Bisogna partire con un'attività a basso rendimento. Anche perché restando al di sotto del limite dei 250mila euro all'anno "si può usufruire del regime agevolativo della legge 398 del 1991, molto interessante per le associazioni. Il reddito imponibile viene determinato forfettariamente in ragione del 2% del volume dei ricavi". Ma l'associazione deve dimostrare di rispettare regole democratiche, convocare almeno una volta all'anno i soci per discutere il rendiconto. Come evitare queste scocciature? "Si può prevedere, nello statuto, che le convocazioni siano pubblicate in bacheca, dove nessuno le va a guardare", consiglia il commercialista. Ma a chi affiliarsi? Ce n'è per tutti i gusti. Il "Centro europeo associazionismo di Roma" garantisce: "Con la nostra affiliazione puoi aprire ristoranti, discoteche..." e giù con un lungo elenco di attività di solidarietà come i tatuaggi e la sauna. Un imprenditore di Ancona, invece, si è vantato di aprire un locale per scambisti affiliandosi a due federazioni, la Federsex e la Fenalc. Sigla alla quale aderisce una signora che a Oristano ha messo in vendita, "per raggiunti limiti d'età", il suo circolo. Con tanto di "licenza di somministrazione di alimenti e bevande".
UTILI E DIPENDENTIÈ vietata la distribuzione degli utili, ma "nulla toglie che alcuni soci possano percepire un compenso per determinate prestazioni svolte". Certo, non bisogna farla sporca. Il 4 giugno Massimo Zuccotti, presidente della Croce San Carlo, un'associazione di pubblica assistenza milanese, è stato arrestato dalla Finanza: aveva trasformato la sua onlus in una srl, tentando di vendere le quote dell'associazione a un volontario. Come inquadrare i dipendenti quando sei una onlus? Come volontari, aveva pensato Zuccotti: in questo modo non si pagano i contributi, quindi la retribuzione è in nero. "Firmavamo un foglio in cui si dichiarava di percepire i compensi in qualità di rimborso spese", hanno raccontato i finti volontari alla procura. 
LA MOVIDA Gli "ap-profit" spopolano nel tempo libero e nell'intrattenimento. Molte associazioni, nelle guide, si pubblicizzano candidamente come ristoranti o come wine bar, soprattutto a Roma. Proviamo a contattare un'associazione enogastronomica a Siracusa: si prenota come in qualsiasi altro ristorante e nessuno ci chiede, preventivamente, di diventare soci. "Noi abbiamo denunciato, negli ultimi anni, 700 discoteche e locali abusivi - racconta Luciano Zanchi, presidente di Assointrattenimento - e spesso le irregolarità sono state riscontrate. Ma di finte associazioni che gestiscono discoteche continuano a sorgere come funghi. Mettendo in crisi il settore: "Nel 2000 le disco erano oltre 4000 e davano lavoro a circa 250mila giovani. Oggi ne rimangono operative poco più di mille per meno di 60mila posti di lavoro". Un circolo privato, per esempio, gestiva una discoteca latina ad Abbiategrasso. "Le serate vengono regolarmente pubblicizzate - ha denunciato alla procura Zanchi - E nelle serate affluiscono centinaia di persone per la gestione delle quali è necessario impiegare numerosi addetti: ci chiediamo anche dal punto di vista contributivo, quali siano le strategie adottate dall'organizzazione". 
LA SICUREZZADa qualche anno alcune procure, come quelle di Milano, stanno disponendo controlli sulla sicurezza con i vigili del fuoco, polizia e Asl. Nove circoli privati sono stati chiusi: tra questi, per un po', anche il club Illumined, affiliato all'Arcigay. All'interno gli agenti hanno trovato 115 persone, sostenendo che le uscite di sicurezza erano carenti. Per la stessa ragione il procuratore aggiunto Nicola Cerrato ha chiesto e ottenuto la chiusura di un locale per spettacoli lap dance vicino la stazione di Milano, il Margo - 10 euro il biglietto d'ingresso, 15 la consumazione - e di un'associazione, in via Paolo Sarpi, dove si faceva karaoke. 
AGENZIE VIAGGIIn tempi di crisi, fioccano le denunce da parte di chi paga tutte le tasse. La Fiavet dell'Emilia Romagna e delle Marche ha lanciato una crociata contro "associazioni, cral, parrocchie, circoli sportivi e ricreativi" che organizzano "viaggi, gite o soggiorni senza regolare licenza di agenzia di viaggi". Andrea Giannetta, di Assotravel, individua poi una tipologia che "pur restando nella legalità fa concorrenza sleale". Gli operatori hanno preso di mira spesso una realtà come la Civaturs. Nata come "confederazione italiana del volontariato associazionistica turistica umanistica ricreativa sportiva", beneficiaria di contributi pubblici, di fatto si è trasformata in una catena di agenzie presenti in tutt'Italia, affiliata, non si capisce perché, all'Asi, l'Alleanza sportiva italiana presieduta dal deputato Pdl Giovanni Barbaro. Chi vuole comprare un pacchetto viaggi si associa alla Civaturs e il gioco è fatto. "Di quali documenti e autorizzazioni bisogna essere in possesso e dove bisogna presentarli?", è la domanda posta nella sezione Faq dell'associazione. Ed ecco la risposta: "Per aprire un ufficio viaggi non occorre chiedere autorizzazioni o licenze. L'affiliazione alle Associazioni Nazionali rendono l'ufficio un'articolazione territoriale delle stesse...".


sabato 26 giugno 2010

Palermo: scoperte false associazioni no profit


di Sabrina Ferrante
Fonte: newnotizie 


False associazioni no profit a Palermo: un’operazione della guardia di finanza ha permesso di scoprire un giro di evasioni accertate di ben 18 milioni di euro. Il Nucleo di polizia tributaria di Palermo ha dato avvio ad una serie di interventi ispettivi nei confronti di associazioni operanti in città per verificare la reale sussistenza dei requisiti di legge necessari per potersi avvalere del particolare e favorevole regime impositivo secondo cui vengono tassati solamente i proventi derivanti da eventuali attività commerciali, mentre vengono escluse dal tributo tutte le attività svolte con altre finalità.  


Del particolare regime fiscale si avvalgono una molteplicità di enti non commerciali quali associazioni religiose, politiche, sindacali, culturali, di utilità sociale, ma le attenzioni investigative delle Fiamme Gialle si sono per ora concentrate sulle associazioni sportive dilettantistiche. I finanzieri hanno scoperto che le associazioni verificate operavano in realtà come vere e proprie imprese commerciali, con ampie strutture aperte a tutti, senza che i fruitori partecipassero in alcun modo alla vita associativa o alla gestione dell'ente. Più che associati si trattava di semplici clienti che si limitavano a usufruire delle strutture ed a praticare lo sport preferito.


Nel primo caso l’associazione affittava 4 campi da tennis e 4 da calcetto in una zona centrale con annesso bar interno mentre nel secondo caso l’attività è risultata ben più ampia e diversificata, dato che l’associazione utilizzava un’area coperta di circa 4000 mq con piscine semiolimpioniche, nonché diverse palestre e locali per trattamenti sanitari e fisioterapici in convenzione con il servizio sanitario nazionale.


L’attività ispettiva, in fase di sviluppo, già con questi primi interventi ha permesso l’emersione di una base sottratta al Fisco per quasi 18 milioni Euro. Uno dei due contribuenti verificati, riconoscendo implicitamente l’inattaccabilità giuridica dei rilievi mossi, ha formalizzato la propria intenzione di aderire integralmente al processo verbale di constatazione redatto dalle Fiamme Gialle, dichiarando alla locale Agenzia delle Entrate di essere disponibile a versare tutte le somme dovute.

martedì 15 giugno 2010

Bloccati dai carabinieri di Salerno, falsi volontari truffavano i cittadini

Fermata una coppia: sedicenti operatori di una Onlus che raccoglieva fondi per combattere la leucemia
di Rosa Coppola
Fonte: Corriere del Mezzogiorno



Si fingevano volontari di una onlus per raccogliere fondi necessari alla ricerca contro la leucemia. Fermati da un ufficiale dei carabinieri, vengono denunciati. Due napoletani, un uomo e una donna già conosciuti alle forze dell’ordine per rapina, residenti a Casalnuovo, sono stati denunciati a piede libero, dopo essere stati sorpresi, sabato mattina, dal tenente colonnello Massimo Cagnazzo, comandante della locale compagnia dei carabinieri, mentre intascavano soldi da cittadini fattisi imbambolare dalle chiacchiere. L’ufficiale, che già conosceva i due napoletani, una 22 enne S. L, e il compagno, C. S., 30 anni, li ha immediatamente bloccati e portati in caserma.
LA TRUFFA REITERATA - Gli stessi, l’anno precedente, avevano tentato di farsi accreditare dai militari per evitare segnalazioni da cittadini sospettosi. Naturalmente, la richiesta non era andata a buon fine. Ancora, i due furono sorpresi, sempre da Cagnazzo, in provincia di Latina intenti a truffare poveri cittadini. In quella occasione si diedero alla macchia. La stessa associazione per la quale i due dicevano di collaborare è presieduta da una persona già denunciata per truffa. Le indagini continuano serrate e sono coperte dal più stretto riserbo; gli investigatori cercano di capire quale giro si nasconde dietro alla finta raccolta di fondi per la ricerca. L’organizzazione della finta onlus predisponeva anche di finte ricevute.

martedì 8 giugno 2010

False fatturazioni per 3 miliardi di euro attraverso associazioni culturali, fondazioni e Onlus

Fonte: Il Sole 24 Ore



Il Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Milano ha scoperto un giro di false fatturazioni di 3 miliardi di euro nel corso di una indagine condotta nei confronti di un gruppo societario, composto da associazioni culturali, fondazioni e Onlus, fortemente impegnato nell'attività di diffusione culturale e del marketing.


L'inchiesta ha portato all'iscrizione nel registro degli indagati della procura di Milano di 26 persone responsabili, a vario titolo, dei reati di associazione a delinquere finalizzata all'emissione e all'utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, alla truffa aggravata ai danni degli istituti di credito e per il conseguimento di erogazioni pubbliche, all'appropriazione indebita. Sono indagate anche due società, in virtù della legge 231 del 2001, in materia di responsabilità amministrativa degli enti.


Nel dettaglio, gli uomini delle Fiamme Gialle hanno rilevato numerose transazioni finanziarie, supportate da operazioni economiche fittizie, tra cui, consulenze aziendali, commerciali e di marketing, corsi di formazione, vendita/acquisto di opere d'arte, finalizzato all'evasione fiscale e all'ottenimento di linee di credito indebite da parte delle banche. Inoltre, sono state anche riscontrate fatture false per lavori edili riferibili a dimore storiche allo scopo di beneficiare di sovvenzioni pubbliche, visto l'interesse architettonico degli edifici.

giovedì 13 maggio 2010

Afghanistan: lotta alla corruzione, sciolte 172 ong

Fonte: ASCA-AFP
(ASCA-AFP) – Kabul, 11 mag – Centossettantadue organizzazioni non governative sono state sciolte in Afghanistan, molte delle quali per ”cattiva amministrazione”. Lo ha annunciato il Ministero dell’Economia di Kabul in un comunicato.
La speciale commissione di controllo, guidata dal ministro Abdul Hadi Arghandiwal, era stata istituita dal presidente Hamid Karzai per verificare l’attivita’ di circa 1.500 organizzazioni di aiuti umanitari operanti nel paese, come parte di un programma di lotta alla corruzione.
Dall’invasione americana del 2001, decine di miliardi di dollari di aiuti sono stati destinati all’Afghanistan, ma gran parte dei fondi sono finiti in tasche private senza lasciare tracce.

mercoledì 5 maggio 2010

Un marketing di cui diffidare

di Anne Landman
Fonte PRWatch.org

Goldman Sachs, Halliburton, Monsanto, Blackwater, Bank of America, Citigroup, Cigna, Aetna, Enron, Arthur Andersen, Mercury Insurance, Philip Morris. Sono solo alcuni nomi delle imprese che generano sentimenti di diffidenza, rabbia e tradimento. Rappresentano gli scandali, l’avidità, il disprezzo per il welfare, lo spreco di denaro dei contribuenti e tante altre cose negative, fungono da promemoria su come gli illeciti d’azienda portino vergogna e danneggino milioni di persone.
Ma come il pubblico ora si fa più diffidente nei confronti delle grandi multinazionali, così anche le aziende stanno combattendo per attuare forme più intelligenti e sofisticate di relazioni pubbliche. Il loro obiettivo? Manipolare l’opinione pubblica ed assicurare che la diffusione di sentimenti negativi non blocchi la capacità di fare business. Sempre più spesso, le società sono impegnate in variazioni sul tema della corporate social responsibility, per cercare di convincerci che ci si può fidare di nuovo.
Abbiamo ricevuto un avvertimento riguardo a ciò che sta per arrivare, quando la rivista Advertising Age ha pubblicato un articolo su una PR di nome Carol Cone. La maggior parte delle persone fuori dall’ambiente delle Rp probabilmente non ha mai sentito parlare di lei. L’articolo dice che la Cone lascia la sua agenzia pubblicitaria per passare a Edelman, una delle più grandi agenzie di Rp al mondo. Il titolo dell’articolo diceva, “Carol Cone, leader di aziende di qualità, entra in Edelman”.
Carol Cone è definita come la mente creativa della strategia di relazioni pubbliche chiamata cause marketing, in cui una società forma un team senza scopo di lucro per raccogliere fondi per una causa popolare. Alcune grandi aziende usano il marketing solidale come strumento di vendita e di gestione dell’immagine. Forse l’esempio più importante di questa forma di marketing è la diffusione del pinking legato al tumore al seno. Molte imprese vendono prodotti rosa per promuovere la consapevolezza del cancro al seno e danno una parte dei proventi alla Susan G. Komen Foundation. Questa massiccia campagna ha attirato le critiche delle principali società perché vendere dei prodotti “rosa” che possono realmente danneggiare persone o degradare l’ambiente, nel caso di prodotti come le pistole, le automobili e l’acqua in bottiglie di plastica contenenti bisfenolo-A. Questo lato deludente della campagna di sensibilizzazione del tumore al seno ha anche dato vita a una nuova parola: pinkwashing definito dal gruppo di Breast Cancer Action, come un termine usato in modo critico per le campagne aziendali in cui la società promotrice si posiziona come leader nel tentativo di eliminare il cancro al seno e si impegna in attività pratiche che possono contribuire a sconfiggere l’avanzamento della malattia.
Carol Cone era la mente creativa dietro la campagna Go Red for Women, in cui la catena di drug store Rite Aid in collaborazione con l’American Heart Association (AHA), voleva sensibilizzare le donne sulle malattie cardiache. Rite Aid ha dato la possibilità alla propria clientela di acquistare abitini di carta rossa per un dollaro ciascuno, il cui ricavato viene devoluto a AHA. (Salvaguardare le parti anatomiche femminili sembra suscitare particolare entusiasmo, come è evidenziato dall’invenzione di simpatici adesivi per auto che invitano la gente a “Save the Tas Ta.”)
Un grave errore è stato però commesso nella campagna “Go Red for Women”: Rite Aid si dichiarava preoccupata per la salute cardiaca delle donne mentre apertamente continua a generare profitto dalla vendita della più grande causa di malattie cardiache: le sigarette. Sorprendentemente, in un comunicato stampa riguardo la sponsorizzazione della campagna Go Red, Rite Aid elenca molti consigli per la salute delle donne, ma ha fallito completamente nel ricordare anche che smettere di fumare può ridurre di tanto le probabilità di una donna di avere malattie cardiache. Rite Aid era completamente cosciente del fatto che stava vendendo un prodotto che provoca malattie nelle donne come in qualsiasi altra persona, fin dal momento in cui la società aveva firmato contratti con R.J. Reynolds, Brown & Williamson e altre aziende del tabacco indennizzando la catena (proteggendola) da rivendicazioni legali dei danni dovuti alle sue vendite di sigarette.
Nel novembre del 2009 in un articolo del New York Times, la Cone ha sottolineato che il cause marketing sta crescendo in quanto i consumatori potranno regolare i moltissimi annunci tradizionali che li bombardano ogni giorno. Secondo Cone, questo significa che i “markettari” non dovrebbero fare marketing diretto alle persone, ma attirare la gente con la narrazione, “quale migliore storia da raccontare di una storia vera… qualcosa di autentico che ha senso”.
Investire in una buona causa per una società di marketing contribuisce a acquisire un “abito da buon cittadino” consentendogli di associarsi a una rispettabile organizzazione non-profit. Questo conferisce alla società una patina di cura e responsabilità sociale. La collaborazione tra le aziende e le organizzazioni non-profit ha anche un riscontro positivo in quella che è la coscienza dell’imprenditore permettendogli così di poter fare business in modo più positivo.
Richard Edelman dell’agenzia di relazioni pubbliche Edelman ha detto a Ad Age che la perdita di fiducia da parte dei consumatori nelle aziende crea “un’opportunità per le agenzie di Rp di acquisire più responsabilità di marketing da altri settori del marketing.”. Tradotto, questo significa che, come la pubblicità tradizionale perde la capacità di persuadere, le aziende puntano sempre più spesso sulle Rp per attuare la “responsabilità sociale” tramite programmi come pinkwashgreenwashgreedwash e altre più sofisticate strategie per sensibilizzare verso buone cause e quindi alimentare in positivo la reputazione aziendale o, nel caso in cui un’azienda non abbia ancora fatto grandi danni sotto questo punto di vista, per creare un cuscinetto contro un potenziale contraccolpo pubblico.
In effetti, l’attività di Rp si sta consolidando facendo leva sul fatto che i consumatori hanno sfiducia verso le imprese. E’ una cosa piuttosto complicata.
E’ nostro compito esaminare strategie di Rp ed esporre programmi e schemi. Non siamo soli nel riconoscere che le società usano il ”cause di marketing” come strumento per attenuare le minacce all’immagine, influenzare le politiche pubbliche e garantire ricchezza. Spesso le società riescono a tenersi un posto al tavolo delle politiche pubbliche, apparendo come attori responsabili. Ma noi vogliamo essere onesti.
Non tutti gli sforzi di responsabilità sociale delle imprese sono necessariamente un male. Ma una reale responsabilità sociale d’impresa dovrebbe iniziare in casa propria. Prima che la società si associ con un gruppo non-profit, si dedichi a una giusta causa, faccia diventare rosa i suoi prodotti o dia vita ad una fondazione e pubblicizzi poi tutta questa meravigliosa generosità, occorre prima di tutto comportarsi in modo responsabile nei confronti della società. Si deve pagare un salario di sussistenza, trattare i propri dipendenti in modo equo, offrire prestazioni adeguate e fornire ai propri lavoratori un ambiente di lavoro sicuro e salubre. Non dovrebbe impegnarsi in attività fraudolente, maltrattando o intimidendo i funzionari pubblici o danneggiando l’ambiente. Se fa tutto questo e poi vuole continuare a contribuire aiutando o donando qualcosa a una buona causa, va bene, ma sarebbe bello se cercassero di non urlare ai quattro venti quello che stanno facendo.
Fino a quando le società non diventano socialmente responsabili e affidabili, noi di PRWatch.org continueremo a sollecitare i lettori ad essere scettici sui piani di Rp, come il cause marketing e la strategica filantropia aziendale.
Quando si rileva una campagna che ha un obiettivo di marketing, iniziate a farvi domande, come quanta parte del prezzo del prodotto verrà donato realmente alla causa. Chiedetevi se state acquistando un prodotto perché lo volete o ne avete bisogno, o perché una campagna di marketing ha usato bei nastri colorati o altri strumenti per attirare la vostra attenzione. Se davvero si vuole sostenere una causa, chiediamoci se non possiamo donare direttamente il nostro denaro, piuttosto che acquistare prodotti.
Ci auguriamo che queste domande, e il nostro preoccuparci del cause marketing, aiuteranno le persone a scindere le attività aziendali da quelli che sono in realtà modi migliori e più sinceri per aiutare le buone cause.