mercoledì 26 gennaio 2011

Haiti, rischio sottomissione da aiuti internazionali

Fonte: affaritaliani.it


Bois Caiman, 22 agosto 1791: il sacerdote vudù Boukman lancia la rivolta degli schiavi, che porta alla nascita del primo Paese “nero” indipendente del mondo.

Port-au-Prince, 12 gennaio 2010:
in 35 secondi un terremoto devasta Haiti. Sbarcano 20.000 marines.
La copertina
Oggi la comunità internazionale, Stati Uniti in testa, con la “scusa” della ricostruzione sta mettendo il futuro del Paese sotto tutela, rubandogli di fatto l'indipendenza. E il popolo haitiano rischia, ancora una volta, di restare escluso dai piani per il proprio sviluppo.
La voce degli abitanti dell'isola caraibica nel libro "Haiti, l’innocenza violata".

Gli Autori:

Marco Bello. Giornalista e fotografo, dal 1992 percor­re l’America Latina e l’Africa. Arrivato ad Haiti per la prima volta nel 1995, vi ha poi vissuto e ha lavorato al settimanale in lingua creola Libète. Nel 1999, con Paolo Moiola, ha vinto il premio giornalistico “Lorenzo Nata­li”, con un servizio su Haiti. Si occupa di cooperazione internazionale con l’Ong Cisv ed è redattore al mensile Missioni Consolata.

Alessandro Demarchi.
Dopo una prima esperienza in Bolivia è approdato ad Haiti nel 1991. Vi ha poi lavorato come insegnante volontario tra il 1993 e il 1996. Si spe­cializza in lingua e cultura creola. Con la moglie haitiana si divide tra Torino e Port-de-Paix. Dal 2001 fa parte dello staff dell’Ong Cisv.


HAITI. L’INNOCENZA VIOLATA
Chi sta rubando il futuro del Paese?
(pagg. 172, € 13,00)
di Marco BELLO e Alessandro DEMARCHI
Prefazione di Maurizio Chierici
Postfazione di Camille Chalmers
Con un saggio inedito di Laënnec Hurbon


“L’utopia della dignità”, testo scritto dal giornalista Maurizio Chierici per il libro di Marco Bello e Alessandro Demarchi "Haiti. l’innocenza violata" - ©Infinito edizioni 2011

Agli haitiani è rimasta una speranza: non sparire dalle prime pagine dei giornali. Quei corpi ammucchiati come legna o sciolti nelle strade devono perseguitarci fino a quando prende forma una solidarietà non solo concreta: matura. Non provvisoria: dialogante. Lontana dai ricatti provvidenziali dei Piani Marshall, quegli aiuti in cambio di insediamenti militari o domìni commerciali che hanno permesso all’Europa di rifare le spalle forti.

La scommessa è ricostruire nel pozzo nero di Haiti una società civile in grado di manifestarsi senza piangere la carità. C’è stato il momento delle emozioni e dei sentimenti; tasche che si aprono e promesse gridate che di settimana in settimana diventeranno centesimi. È sempre andata così. Il primo massacro nelle nostre guerre di pace o le prime banche che balbettano, trasformeranno Haiti in un incubo da rimuovere. Così lontano, poi.Lettori che cambiano pagina, telecomando che cerca risate a buon mercato. Non se ne può più.

Il presidente della Repubblica francese Nicolas Sarkozy (imitato dal ministro degli Esteri italiano Franco Frattini) invita a «rimettere i debiti», esercizio dell’ipocrisia travestita da generosità. In realtà i debiti sono già rimessi, Haiti non potrà mai pagare e i debitori devono fare l’esame di coscienza. Finché non è rimasto niente abbiamo portato via tutto e gli haitiani sono diventati nessuno. Se la barca dei balseros cubani si rovescia nel mare della fuga a Miami, sappiamo nome per nome, faccia per faccia, come Fidel «costringe a morire» chi non è d’accordo con il regime. Negli ultimi dieci anni, novemila haitiani sulla strada dell’esilio clandestino sono naufragati nel Golfo del Messico. Forse diecimila, forse otto: anche i numeri restano incerti. Dei nomi neanche parlarne. Ombre. Vive o morte non contano.

Il terremoto apre una scommessa eccitante per la cultura delle società avanzate: trasformare Haiti nel laboratorio universale del Duemila. Come disegnare sulle macerie le città del sole di Campanella nell’aggiornamento di uno Stato normalmente civile. Con l’acqua nel rubinetto, la lampadina che si accende (oggi solo nel 10 per cento delle case) e l’alfabeto che lega alla vita di tutti. Riammettiamoli al mondo progettando assieme la repubblica della dignità. Dignità è una parola che torna ogni volta a tutela dei deboli, ma resta un progetto difficile da concretizzare per le cattedrali delle mafie, degli affari, della politica, croste che resistono ai secoli: impossibile ricostruire dalle fondamenta la società ideale.

Si può ripartire da zero riducendo all’urgenza i cerotti provvisori della solidarietà porta a porta con l’obiettivo non sconvolgente di un normale equilibrio sociale. Intervento radicale e qualche indicazione. Il pulviscolo delle ong, la cui percentuale ad Haiti è inutilmente la più alta del mondo, va inserito in strategie di settore guidate non dalla politica dei Paesi egemoni ma da un’inedita assemblea di giuristi, pedagoghi, tecnici, medici, religiosi di ogni tendenza. Direttorio del mondo nuovo da inventare nello spazio di un piccolo Paese. Heinrich Böll ripeteva che nel momento in cui si dice o si scrive una cosa ragionevole viene derisa come utopia. Questo libro ci porta in mezzo agli haitiani, ad ascoltare la loro voce, le loro visioni sulla ricostruzione o «rifondazione» del Paese e della società. Le «forze vive» della nazione chiedono di partecipare alla definizione del futuro, ma questo diritto viene loro sottratto dai grandi della terra grazie alla complicità del governo haitiano. Ascoltare queste voci ci porterà a creare un legame di solidarietà con questo popolo, per andare oltre la carità. Sarà anche questa pura utopia?

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