di Mario Nejrotti
Fonte. Torinomedica.com
La situazione socio economica del nostro Paese sta mutando insieme a quella del Pianeta.Nulla sembra più sicuro e prevedibile.
Le variabili si sono scatenate nel loro capriccioso fluire, spinte da interessi e situazioni diverse e spesso insanabilmente contrastanti.
Il bisogno di benessere e la ricerca della felicità nel mondo occidentale hanno raggiunto, incalzati dal mercato, livelli di guardia.
Il consumo sfrenato di beni, che mantiene questo modello economico in piedi, ha cominciato a dilagare nel mondo povero alla ricerca di nuovi mercati, provocando la crisi di tradizioni e modelli diversi di vita, che per secoli avevano mantenuto, se pur precari, equilibri sociali.
In questi ultimi anni è palese la crisi di un sistema che ha confuso per decenni crescita finanziaria con sviluppo economico e che si è disinteressato del mondo del lavoro vero, inteso come strumento concreto e misurabile, capace di produrre beni e servizi per la soddisfazione equilibrata dei bisogni di tutta la popolazione.
La nostra economia occidentale è in crisi e, se il modello attuale non troverà una soluzione alternativa, la povertà, che ora incomincia ad affacciarsi nel nostro quotidiano, sarà una realtà devastante e destabilizzante.
L’Italia sta mutando pelle e, da “Paese di Bengodi”, visto attraverso l’occhio degli spot televisivi e miraggio per masse disperate di povera gente di altre latitudini, sta diventando una nazione povera, che industriale non può più tornare ad essere e che difficilmente ritroverà la strada di una economia contadina che, se pur modernizzata, soddisfi il bisogno crescente di occupazione alternativa. Un Paese che per altro sta continuando inesorabilmente a sperperare e distruggere le sue uniche risorse: la meravigliosa natura e il patrimonio artistico-culturale.
In questa sfrenata corsa al benessere i lavoratori, produttori di beni e servizi appunto, stanno progressivamente perdendo, spinti dalla necessità e dalla cultura imperante, la componente etica e di servizio insita nel lavoro.
Tale componente non deve essere intesa esclusivamente come attività altruistica e disinteressata, elemento fondamentale, ma non unico.
Occorre riflettere anche sull’orgoglio del lavoratore a svolgere bene il proprio lavoro, per il valore intrinseco che esso ha e per la soddisfazione che il buon risultato genera in lui.
La diffusa insoddisfazione economica e normativa nel mondo del lavoro e il coinvolgimento anche dei settori più specializzati e dirigenziali in questo ridimensionamento, ha fatto sì che sempre meno la qualità e l’etica del lavoro abbiano importanza.
Sulla dequalificazione progressiva, fatte salve le eccezioni, sicuramente sempre presenti in ogni fenomeno generale, stanno lucrando i sistemi di potere pubblici e privati.
“Il lavoro costa troppo e non è competitivo, i lavoratori sono scansafatiche, aspettano solo lo stipendio, il pubblico non è contento dei prodotti e servizi : quindi pagare sempre meno e aumentare il carico di lavoro è l’unico sistema per salvare l’economia nazionale.”
Nel settore sanitario, socio assistenziale e culturale, da sempre terreno di “incursione” del potere per effettuare tagli facili e vantaggiosi per le mal gestite casse dello Stato, l’idea che chi lavora non ci mette abbastanza “cuore” è ormai convinzione radicata e mantra ossessivo per i media.
I lavoratori medici, infermieri, operatori socio assistenziali, veterinari, insegnanti, operatori di ogni settore culturale sono mestieranti, che non danno soddisfazione agli utenti e rubano lo stipendio.
E allora succede che un fenomeno sociale di per sé buono e degno del massimo rispetto viene a trovarsi in inconsapevole sinergia con questa ipocrita strategia politica: il volontariato.
I volontari proprio in campo sociale, assistenziale, sanitario e culturale vanno a riempire, meritevolmente, ma pericolosamente, quel vuoto di investimenti che fanno di questi settori un capitolo forte delle economie sane e lungimiranti.
I volontari sono virtuosi, si occupano della persona, sono disinteressati, sono molto motivati e soprattutto, non chiedono denaro per quello che fanno, perché i soldi per vivere arrivano loro da un’altra parte.
E così essi occupano, a basso costo, ogni anfratto occupazionale che il sistema trascura, non comprende, snobba o solamente reputa non produttivo.
Ecco allora che una nazione povera, con una fame insaziabile di posti di lavoro si affida sempre di più al volontariato, che ormai spazia in settori che superano anche i confini sopra citati.
Un paese in grave crisi con una disoccupazione giovanile impressionante, che genera uno spreco insanabile di potenzialità intellettuali e operative di una intera generazione, affida attività delicatissime a brave persone che piano, piano si convincono di essere le sole adatte a far funzionare un sistema che invece subdolamente e furbescamente le sfrutta.
Questa situazione poteva essere tollerata in una economia solida e ricca, che dava lavoro a tutti, ma in una nazione come la nostra ogni possibile forma di occupazione deve essere utilizzata e affidata ai tecnici di quel settore.
Professionisti da cui la società naturalmente deve pretendere motivazione, partecipazione e umanità, ma che deve essere pronta a gratificare, premiando il merito e investendo nei settori chiave, che sempre necessitano di sostegno, per non divenire terreno della sola buona volontà dei singoli, della carità pubblica o peggio dominio della più spregiudicata imprenditoria privata, che fa della possibilità di guadagno l’unico metro della qualità professionale e della scelta della clientela.
Professionisti motivati e capaci e un volontariato consapevole della situazione socio economica, che lavora insieme e non al posto dei tecnici, sono l’unica soluzione utile in questo momento storico.
Per dare un primo segnale di una nuova alleanza tra professioni e volontariato, la speranza è che a Roma il 13 ottobre, in occasione della grande manifestazione di tutte le sigle sindacali dei medici italiani, siano presenti per solidarietà le associazioni di volontariato dei malati e dei cittadini, per far comprendere che, non tagliando i finanziamenti, ma curando la qualità dei servizi si evitano gli sprechi e si migliora l’offerta.
Su questo stesso argomento si legga anche l’articolo “La solitudine dei numeri secondi”, di Franco Bomprezzi, diretto responsabile di “Superando.it”. (Vedi il link: http://www.superando.it/content/view/7852/112/” http://www.superando.it/content/view/7852/112/)
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