mercoledì 19 ottobre 2011

Dagli sms solidali per Haiti spariscono 2 milioni

di Lorenzo Dilena

Fonte: linkiesta



Da anni gli “sms solidali” sono uno strumento fondamentale nella raccolta di fondi per le emergenze umanitarie. Complice la familiarità con il telefonino, gli italiani rispondono sempre con generosità agli appelli lanciati dai media per aiutare le popolazioni colpite da catastrofi. Hanno fiducia nelle capacità di intervento delle organizzazioni umanitarie che promuovono iniziative di solidarietà a favore delle popolazioni colpite. E si aspettano che i soldi raccolti, nell’attesa di essere erogati, siano gestiti con prudenza e oculatezza.


E invece è accaduto che 2 milioni di euro destinati ad aiutare la popolazione di Haiti sono spariti, secondo quanto Linkiesta è in grado di rivelare. Inghiottiti in una misteriosa operazione che sembra avere l’aria della truffa finanziaria, e di cui non sono ancora chiare le responsabilità. Due milioni su un totale di 14,7 milioni raccolti un anno fa per Haiti dalla onlus Agire, un network privato di alcune fra le più note organizzazioni umanitarie, sono stati affidati un intermediario di cui non si conosce ancora il nome, e non sono più tornati indietro. 


Quando il 12 gennaio 2010 l’isola dei Caraibi viene colpita da un terremoto che fece strage di oltre 220mila persone, causando un milione e mezzo di sfollati, in Italia partono subito diverse campagne di raccolta fondi. Due di queste corrono via sms. Una è quella della Croce rossa, “Pro Emergenza Haiti”, che chiede di inviare un sms da 2 euro da numero Wind e 3 al 48540. L’altra fa capo ad Agire, un raggruppamento fra 12 importanti organizzazioni non governative (ong) che funziona da meccanismo congiunto di raccolta. Una sorta di macchina permanente per le emergenze, pronta ad attivarsi non appena scoppia una crisi umanitaria internazionale, grazie a una rete di partner strategici fra cui canali radio-televisivi, quotidiani, gruppi bancari e compagnie telefoniche. Alla notizia del terremoto di Haiti, Agire lancia un appello per una donazione di 2 euro «inviando un sms al 48541 da cellulari Tim e Vodafone o chiamando lo stesso numero da rete fissa Telecom Italia».


All’appello aderiscono nove dei 12 soci di Agire: Save the Children, ActionAid, Cesvi, InterSos, Gvc, Terres des Hommes, Coopi, Cisp, Vis. La Tim e Vodafone forniscono l’appoggio tecnico mentre la copertura mediatica arriva dalla Rai, da Mediaset, Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport, e trova eco in diverse radio nazionali e locali, associazioni, persino sezioni locali dei partiti. Le nove ong interessate si attivano immediatamente per distribuire beni di prima necessità e allestire rifugi temporanei per oltre 5mila persone. Con la campagna sms vengono raccolti 14,7 milioni di euro, cui vanno aggiunti 6,5 milioni che le ong ricevono direttamente dai sostenitori. Una parte rilevante delle donazioni, 11,5 milioni, viene erogata nel corso del 2010 per interventi nel settore educativo, nella sanità e nel settore agricole.  Per far quadrare i conti, per la verità, bisogna tenere conto dei “costi della macchina organizzativa”: 134mila euro di “oneri gestione appello” e 115mila euro per spese di “valutazione e trasparenza”. I fondi restanti (2.180.000 euro), si legge sul bilancio dello scorso esercizio, «saranno liquidati nel corso del 2011 secondo piani di trasferimento che tengono conto dello stato di implementazione delle attività». E si decide di farli fruttare con qualche investimento temporaneo.


Il consiglio direttivo presieduto da Gianni Da Ponte delibera così di investire una parte rilevante della liquidità in titoli «in linea con il regolamento interno», come spiegano i documenti ufficiali. Del consiglio fanno parte anche Gianni Milesi, Mario Raffaelli e Caterina Torcia. Quest’ultima è attualmente una manager della corporate social responsability di Vodafone Italia, tuttora un partner strategico di Agire. Che cosa prevede, dunque, il regolamento interno?  Che «nella scelta degli strumenti finanziari di investimento, la politica degli investimenti tiene innanzitutto in considerazione la loro compatibilità etica con le finalità di Agire e dei suoi associati» (vedi art.icolo 6.4). E ancora che si abbia da un lato «la massima redditività delle giacenze e, dall’altro, la possibilità di loro immediato smobilizzo per far fronte alle esigenze operative di risposta alle emergenze». I 2 milioni di euro sono così impiegati in obbligazioni, mentre altri 300mila euro sono investiti in azioni garantite al 90 per cento.


A questo spunto comincia il giallo dell’ammanco dei 2 milioni. L’ultimo punto fermo ufficiale è quanto viene detto  nella nota integrativa al bilancio 2010: «Va considerato che i 2 milioni di euro sono stati svincolati al 31 marzo 2011». Interpellati da Linkiesta, fonti ufficiali di Agire non hanno voluto spiegare se è in quel momento che viene riscontrata l’impossibilità di rientrare in possesso dei fondi investiti in obbligazioni. O se invece i 2 milioni sono stati regolarmente smobilizzati e solo dopo affidati all’intermediario che, a oggi, non li ha ancora restituiti.


La difesa di Agire. Al telefono Marco Bertotto, direttore operativo di Agire, riferisce che «immediatamente, nel momento in cui ne siamo venuti a conoscenza, abbiamo messo la cosa nelle mani dei legali». Bertotto sostiene di non poter rivelare il nome dell’intermediario «perché c’è un avvio di procedimento (giudiziario, ndr) su cui abbiamo un obbligo di riservatezza per non compromettere l’esito delle indagini». Agire è forse finita nella truffa del Madoff dei Parioli? «No», assicura Bertotto. Secondo una fonte interna che ha chiesto di mantenere l’anonimato, l’intermediario «è stato suggerito e consigliato da uno degli enti del nostro network». Nei corridoi della sede romana di Agire, in via Aniene, c’è imbarazzo e si parla di “truffa”, di cui Agire e le ong ad essa associate sarebbero vittime. «Tecnicamente non è un ammanco, non c’è insomma una situazione interna agli associati o fra gli associati e Agire», si difende Bertotto.


«Presumiamo con ragionevole certezza di essere stati vittime di una sofisticata frode finanziaria esterna e stiamo agendo per tutelare la nostra reputazione e per garantire la possibilità di recuperare questa somma – aggiunge il manager – Non posso dire altro, i legali ci hanno chiesto di essere rigorosi nella comunicazione esterna fino a ordine da parte della procura». I vertici di Agire assicurano, tuttavia, che saranno rispettati gli obblighi assunti sia verso i donatori sia verso la popolazione di Haiti: «Assorbiremo nel tempo la perdita senza ripercussioni nella realizzazione dei progetti». Se da un lato resta l’incognita sul recupero delle somme investite, dall’altro viene confermato l’impegno a rimborsare le ong associate che ad Haiti hanno realizzato progetti di intervento, molti dei quali sono stati già completati.


Solidarietà o finanza? È la domanda a cui dovrà dare una risposta immediata, prima ancora della magistratura, il comitato etico di Agire, composto da personalità di rilievo nazionale e internazionale. Come il giurista e magistrato Antonio Cassese, già presidente del Tribunale penale per i crimini dell’ex Jugoslavia, l’ex Ragioniere generale dello Stato Andrea Monorchio, il professor Marco Vitale. Proprio quest’ultimo ha confermato a Linkiesta che «il comitato etico è stato informato da poco». È stata convocata una riunione urgente, «ma la data non è ancora decisa». Il racconto dell’economista bresciano è scarno: «Sappiamo che il consiglio direttivo di Agire ha deciso di affidare parte dei fondi in attesa di erogazione a una società di intermediazione finanziaria, segnalata da un socio come affidabile e che invece si è dimostrata non affidabile perché ha  creato un ammanco attraverso una truffa di cui non sappiamo ancora i dettagli».


La  posizione dei garanti etici è molto dura, al di là delle oggettive responsabilità nella presunta truffa o comunque nella sparizione dei fondi. Vitale la sintetizza così: «Il fatto che le giacenze liquide siano andate in un intermediario che sarà anche stato conosciuto da qualcuno, ma che evidentemente non era un operatore di primaria grandezza e reputazione, andrà chiarito. Quando io ho gestito soldi privati per il Kosovo li avevo affidati a una banca solida». L’aspetto paradossale di questa vicenda è che, una banca solida, Agire ce l’ha già in casa come “main partner”. È Banca Prossima, la banca per le imprese sociali del gruppo Intesa Sanpaolo. Ma il consiglio direttivo ha preferito l’intermedario consigliato dagli amici degli amici. Una scelta che riaccende un amaro interrogativo su come vengono gestiti i soldi generosamente donati per le popolazioni vittime di guerre, epidemie e disastri naturali. 


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