Fonte: abconlus 05/10/2011
Riteniamo che tra i nostri doveri rientri quello di ricordare a chi ci è vicino quel che accade nei luoghi dove siamo presenti. Abbiamo, per così dire, un punto di osservazione “privilegiato” sulle disgrazie del mondo e, visto che dobbiamo parlare di Haiti, lo vogliamo fare partendo dalla piccola porzione di pianeta Terra che conosciamo, limitato agli aiuti che eroghiamo a favore della scuola “Sibert” guidata da Maurizio Barcaro a Port-au-Prince, per allargare poi lo sguardo alla città e al Paese. Dobbiamo farlo anche per non essere complici dello scandaloso ritardo con il quale si sta intervenendo per alleviare le sofferenze di un popolo che non esiste.
La scuola “Sibert”, diciamolo subito, va bene ed ha ripreso la sua attività il 3 ottobre scorso. Ricostruzione e riorganizzazione hanno dato, paradossalmente, nuovi stimoli al nostro amico Maurizio e le attività didattiche garantiscono una preparazione altrove inimmaginabile. Oltretutto non si tratta di una struttura chiusa, ma aperta alle famiglie e alla realtà locale limitrofa, tanto da accogliere al suo interno una piccola “casa di riposo” per anziani. Dunque esperienza positiva. Ma questa è un’oasi nel deserto, anche se ci saranno sicuramente altre realtà a noi sconosciute benemerite e benevole. Ma nella maggior parte dei casi il resto è orrore!Lo è anche perché i problemi per Haiti con il passare del tempo aumentano. Infatti, dopo il terremoto, è arrivato il colera e poi gli uragani. Ora, mentre la ricostruzione ritarda e la comunità internazionale è presa dalla crisi economico-finanziaria, nel confinante Santo Domingo i profughi haitiani cominciano ad essere rimpatriati. E, proprio per questo “accumulo” di problematiche irrisolvibili, inevitabilmente nascono polemiche e critiche nei confronti delle istituzioni internazionali e delle ONG presenti con migliaia di cooperanti sul territorio di un Paese che è sempre stato il più povero delle Americhe. Ha ragione il famoso padre Rich (Richard Frechette) - che dirige in Haiti N.P.H., Nuestros Pequeños Hermanos, organizzazione presente in 9 paesi dell’America Latina con Case-orfanotrofi o ed ospedali - quando denuncia il ritardo con il quale le risorse raccolte per Haiti stanno arrivando sull’isola. Ma in un’intervista a “Vita” del giugno scorso Marco Bertotto, direttore operativo di Agire, tiene a precisare come il ritardo non riguardi “le nostre ONG che da tempo hanno impiegato i fondi raccolti a favore dei terremotati” . Per la cronaca Agire è l’acronimo di Agenzia Italiana Risposta Emergenze , un network privato di “pronto intervento” fra alcune delle più note e grandi (piccolo è bello! ndr.) organizzazioni umanitarie nove delle quali lanciarono, lo scorso anno, un appello per raccogliere fondi a favore di Haiti: Save the Children, ActionAid, Cesvi, InterSos, Gvc, Terres des Hommes, Coopi, Cisp, Vis.
Ma con Bertotto non è sicuramente d’accordo Evel Fanfan, presidente di “Aumohd-Action des Unités Motivées pour une Haiti de Droit”, un’organizzazione di avvocati che dal 2002 si occupa della difesa dei diritti umani e civili della popolazione haitiana, il quale sostiene che "Il 66% di tutte le donazioni che sono state fatte non sono state investite per la gente di Haiti, ma per il funzionamento delle Ong", alcune delle quali - precisa - “hanno comprato fuoristrada da 40-50 mila dollari, mentre il 20% delle donazioni sono state spese per pagare il loro personale presente sul territorio”. Dobbiamo però precisare, per quel che sappiamo, che nel caso di Agire una parte delle nove ONG si sono avvalse di altre associazioni già presenti in Haiti e quindi i loro interventi sono stati realizzati da realtà già strutturate sul territorio con notevole risparmio sulle spese di gestione. Un po’ come facciamo noi in Brasile, Serbia, Bosnia e... Haiti! Ma Evel Fanfan, che è stato anche in Italia per una serie di conferenze sull’argomento, incalza e sostiene che circa 12 mila organizzazioni concentrate in Haiti hanno trasformato l’isola in una “Repubblica delle Ong”. “Abbiamo discusso - dice - con l’80% di loro e abbiamo chiesto di creare un osservatorio per evitare lo spreco di denaro e verificare la trasparenze delle spese. La maggior parte non ha accettato una super visione e un controllo”. Ed ha aggiunto un argomento che deve far riflettere quanti si occupano di cooperazione internazionale e di aiuti: “Siamo qui - in Italia - per sensibilizzare l’opinione pubblica internazionale, per chiedere trasparenza, per dire che questo tipo di aiuto non ha avuto alcun tipo di risultato ora e non lo avrà in futuro e per chiedere alla comunità internazionale di cambiare il suo piano di azione, lavorando con la società civile locale senza escluderla”. A noi sembra una cosa non solo plausibile, ma legittima. E le ragioni di Evel Fanfan sono sono confermate dalla considerazione che le ONG spesso non hanno alcun ancoraggio con le realtà locali dove operano, non hanno alcuna legittimità che provenga dalla gente che vogliono aiutare. E’ come se trovassero legittimità unicamente nella nobiltà dell’azione svolta. E anche il controllo non è fatto da alcun organismo terzo e, di fatto, non rispondono praticamente a nessuno, neanche in caso di fallimento dei progetti o di sperpero del denaro raccolto. Per tutte queste considerazioni non sarebbe male che ONG e Associazioni accettassero un’azione di supervisione e controllo come quella proposta per Haiti da Evel Fanfan. Come ci è capitato di leggere su un blog, “Geopoliticamente”, appare pertinente l’osservazione che le ONG presenti ad Haiti sono sorrette dalla convinzione di essere“al di sopra delle parti”, ma “quest’idea è sbagliata in quanto dietro di loro dovrebbe esserci la società civile, in questo caso globale” e “con un unico punto di riferimento e di controllo: la stampa”. Ma anche la stampa “presenta limiti legati al marketing, alle necessità dettate dall’attenzione mediatica e a pressioni esterne di varia natura”. Grande verità!
E, coincidenza, a sostenere indirettamente concetti e sospetti arriva, il primo ottobre 2011, una notizia conosciuta da pochi e pubblicata soltanto sul sito Linkiesta (www.linkiesta.it) che riportiamo quasi integralmente:
“Da anni gli ‘sms solidali’ sono uno strumento fondamentale nella raccolta di fondi per le emergenze umanitarie. Complice la familiarità con il telefonino, gli italiani rispondono sempre con generosità agli appelli lanciati dai media per aiutare le popolazioni colpite da catastrofi. Hanno fiducia nelle capacità di intervento delle organizzazioni umanitarie che promuovono iniziative di solidarietà a favore delle popolazioni colpite. E si aspettano che i soldi raccolti, nell’attesa di essere erogati, siano gestiti con prudenza e oculatezza.
E invece è accaduto che 2 milioni di euro destinati ad aiutare la popolazione di Haiti sono spariti, secondo quanto Linkiesta è in grado di rivelare. Inghiottiti in una misteriosa operazione che sembra avere l’aria della truffa finanziaria, e di cui non sono ancora chiare le responsabilità. Due milioni su un totale di 14,7 milioni raccolti un anno fa per Haiti dalla onlus Agire, un network privato di alcune fra le più note organizzazioni umanitarie, sono stati affidati un intermediario di cui non si conosce ancora il nome, e non sono più tornati indietro. Quando il 12 gennaio 2010 l’isola dei Caraibi viene colpita da un terremoto (...) partono subito diverse campagne di raccolta fondi. Due di queste corrono via sms. Una è quella della Croce rossa, (...) l’altra fa capo ad Agire, un raggruppamento fra 12 importanti Organizzazioni Non Governative che funziona da meccanismo congiunto di raccolta. Una sorta di macchina permanente per le emergenze, pronta ad attivarsi non appena scoppia una crisi umanitaria internazionale, grazie a una rete di partner strategici (Telecom Italia, Tim, Vodafone, Rai, Sky, LA7, CRAI, Unieuro, Cooperazione Italiana allo Sviluppo-Ministero Affari Esteri, la Feltrinelli, Poste Italiane, Banca Popolare di Milano). Alla notizia del terremoto di Haiti, Agire lancia un appello per una donazione di 2 euro «inviando un sms al 48541 da cellulari Tim e Vodafone o chiamando lo stesso numero da rete fissa Telecom Italia». All’appello aderiscono nove dei 12 soci di Agire: Save the Children, ActionAid, Cesvi, InterSos, Gvc, Terres des Hommes, Coopi, Cisp, Vis. La Tim e Vodafone forniscono l’appoggio tecnico mentre la copertura mediatica arriva dalla Rai, da Mediaset, Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport, e trova eco in diverse radio nazionali e locali, associazioni, persino sezioni locali dei partiti. Le nove ong interessate si attivano immediatamente per distribuire beni di prima necessità e allestire rifugi temporanei per oltre 5mila persone. Con la campagna sms vengono raccolti 14,7 milioni di euro, cui vanno aggiunti 6,5 milioni che le ONG ricevono direttamente dai sostenitori. Una parte rilevante delle donazioni, 11,5 milioni, viene erogata nel corso del 2010 per interventi nel settore educativo, nella sanità e nel settore agricolo. Per far quadrare i conti, per la verità, bisogna tenere conto dei “costi della macchina organizzativa”: 134mila euro di “oneri gestione appello” e 115mila euro per spese di “valutazione e trasparenza”. I fondi restanti (2.180.000 euro), si legge sul bilancio dello scorso esercizio, «saranno liquidati nel corso del 2011 secondo piani di trasferimento che tengono conto dello stato di implementazione delle attività». E si decide di farli fruttare con qualche investimento temporaneo.
Il consiglio direttivo presieduto da Gianni Da Ponte delibera così di investire una parte rilevante della liquidità in titoli «in linea con il regolamento interno», come spiegano i documenti ufficiali. Del consiglio fanno parte anche Gianni Milesi, Mario Raffaelli e Caterina Torcia. Quest’ultima è attualmente una manager della corporate social responsability di Vodafone Italia, tuttora un partner strategico di Agire. Che cosa prevede, dunque, il regolamento interno? Che «nella scelta degli strumenti finanziari di investimento, la politica degli investimenti tiene innanzitutto in considerazione la loro compatibilità etica con le finalità di Agire e dei suoi associati» (vedi art.icolo 6.4). E ancora che si abbia da un lato «la massima redditività delle giacenze e, dall’altro, la possibilità di loro immediato smobilizzo per far fronte alle esigenze operative di risposta alle emergenze». I 2 milioni di euro sono così impiegati in obbligazioni, mentre altri 300mila euro sono investiti in azioni garantite al 90 per cento. A questo spunto comincia il giallo dell’ammanco dei 2 milioni. L’ultimo punto fermo ufficiale è quanto viene detto nella nota integrativa al bilancio 2010 (pag. 7): «Va considerato che i 2 milioni di euro sono stati svincolati al 31 marzo 2011». Interpellati da Linkiesta, fonti ufficiali di Agire non hanno voluto spiegare se è in quel momento che viene riscontrata l’impossibilità di rientrare in possesso dei fondi investiti in obbligazioni. O se invece i 2 milioni sono stati regolarmente smobilizzati e solo dopo affidati all’intermediario che, a oggi, non li ha ancora. Al telefono Marco Bertotto, direttore operativo di Agire, riferisce che «immediatamente, nel momento in cui ne siamo venuti a conoscenza, abbiamo messo la cosa nelle mani dei legali». Bertotto sostiene di non poter rivelare il nome dell’intermediario «perché c’è un avvio di procedimento (giudiziario, ndr) su cui abbiamo un obbligo di riservatezza per non compromettere l’esito delle indagini». Agire è forse finita nella truffa del Madoff dei Parioli? «No», assicura Bertotto. Secondo una fonte interna che ha chiesto di mantenere l’anonimato, l’intermediario «è stato suggerito e consigliato da uno degli enti del nostro network». (...) “Se da un lato resta l’incognita sul recupero delle somme investite, dall’altro viene confermato l’impegno a rimborsare le ONG associate che ad Haiti hanno realizzato progetti di intervento, molti dei quali sono stati già completati. Solidarietà o finanza? È la domanda a cui dovrà dare una risposta immediata, prima ancora della magistratura, il comitato etico di Agire, composto da personalità di rilievo nazionale e internazionale. Come il giurista e magistrato Antonio Cassese, già presidente del Tribunale penale per i crimini dell’ex Jugoslavia, l’ex Ragioniere generale dello Stato Andrea Monorchio, il professor Marco Vitale. Proprio quest’ultimo ha confermato a Linkiesta che «il comitato etico è stato informato da poco». È stata convocata una riunione urgente, «ma la data non è ancora decisa». (...) La posizione dei garanti etici è molto dura, al di là delle oggettive responsabilità nella presunta truffa o comunque nella sparizione dei fondi. Vitale la sintetizza così: «Il fatto che le giacenze liquide siano andate in un intermediario che sarà anche stato conosciuto da qualcuno, ma che evidentemente non era un operatore di primaria grandezza e reputazione, andrà chiarito. Quando io ho gestito soldi privati per il Kosovo li avevo affidati a una banca solida». L’aspetto paradossale di questa vicenda è che, una banca solida, Agire ce l’ha già in casa come “main partner”. È Banca Prossima, la banca per le imprese sociali del gruppo Intesa Sanpaolo. Ma il consiglio direttivo ha preferito l’intermedario consigliato dagli amici degli amici” (...).
Nello stesso giorno che esce la notizia su Linkiesta, il primo ottobre, Agire in un comunicato scrive: “In merito ai contenuti dell’articolo pubblicato questo pomeriggio sul sito Linkiesta.it, AGIRE - Agenzia Italiana per la Risposta alle Emergenze conferma di essere stata vittima di una truffa sapientemente architettata ai suoi danni da un soggetto terzo, esterno all’organizzazione stessa. Le indiscrezioni riguardano vicende già affidate da tempo a un collegio di legali che ha avviato le opportune azioni con le autorità competenti. Per evitare che la diffusione di notizie intralci l’accertamento dei fatti, AGIRE mantiene il più stretto riserbo sulla vicenda. I responsabili della onlus assicurano tuttavia che tutti gli impegni con i donatori e con le popolazioni colpite da crisi umanitarie sono stati e saranno pienamente rispettati. Il network AGIRE assorbirà in ogni caso l’eventuale perdita, senza alcuna ripercussione sulla completa realizzazione dei progetti finanziati. Con piena fiducia nell’operato delle autorità competenti, AGIRE confida nell’accertamento delle responsabilità e nel recupero della somma e si riserva di fornire, non appena potrà farlo, un quadro più dettagliato degli avvenimenti di cui è stata vittima”. Analogo comunicato viene fatto dal VIS il giorno 5 ottobre. Poi silenzio assoluto!
Il 5 ottobre sempre su Linkiesta, esce un’altra notizia quasi eguale a quella che riguarda Agire. Stavolta è il Vis (Volontariato Internazionale per lo Sviluppo), ONG che fa capo alla congregazione di Don Bosco, e la cifra è di quattro milioni di euro investiti non si sa bene come. “Secondo gli indizi raccolti da Linkiesta - si legge sul sito del giornale on-line - si tratterebbe di una società di investimenti con base a Milano e un focus privilegiato sulle istituzioni no profit. Se le recriminazioni di truffa ipotizzata dai vertici di Agire e del Vis venissero confermate dalle indagini giudiziarie in corso, si tratterebbe di un singolare caso di ‘Madoff delle onlus’. Gli enti coinvolti potrebbero essere ben più di due. Sulla truffa ipotizzata starebbe indagando la Procura di Milano, riferiscono fonti vicine alle vicende”.
Ci siamo interrogati sull’opportunità di divulgare, anche se è già “pubblica”, questa storia, tanto più che molti hanno taciuto per timore di contribuire, indirettamente, ad accentuare la già forte flessione delle donazioni, ma noi, quando abbiamo qualche dubbio, ricorriamo ad una bella frase di uno scrittore ottocentesco, Ippolito Nievo: “La verità, per quanto povera e nuda, è più adorabile e più santa della bugia camuffata e sontuosa” e, aggiungiamo noi, anche del silenzio complice dei mass-media e delle “istituzioni” del Terzo Settore.
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